Effetto nocebo, se ne sente parlare tanto ultimamente ma di cosa si tratta? Forse non lo sai, ma potresti averlo provato anche tu almeno una volta.
Nella vita di tutti i giorni avrete sicuramente sentito parlare dell’effetto nocebo, molto probabilmente vi sarà sfuggito il significato di questa sensazione che può insorgere al verificarsi di determinate circostanze. Più frequente è sicuramente l’utilizzo nel linguaggio comune del suo opposto ovvero l’effetto placebo, con quest’ultimo si indica l’atteggiamento di chi pensa di avere dei benefici grazie all’utilizzo di una particolare sostanza sebbene questa in realtà non faccia nulla.
Placebo e nocebo sono comunque dei fenomeni studiati da molto tempo e sono importanti per valutare l’efficacia di un nuovo farmaco nella sua fase sperimentale. Gli studi sull’effetto placebo venivano eseguiti già nel XVIII secolo, esperimenti che comprovavano il senso di benessere che alcuni pazienti provavano a seguito della somministrazione di alcuni farmaci che in realtà non facevano nulla. Immaginazione o forte suggestione nell’utilizzo di queste sostanze?
Nel corso dell’800 si inizia a fare strada uno studio più interessante su questi effetti, sebbene poi si dovranno aspettare gli anni Trenta per avere degli elementi più chiari sul nocebo. Il medico statunitense Harold Diehl aveva notato che alcune persone mostravano dei segni collaterali anche dopo l’assunzione di una sostanza credendo che servisse a qualcosa ma che in realtà non faceva nulla; ad esempio si studiava il raffreddore comune ed alcune persone dichiaravano di avere effetti avversi anche dopo l’assunzione di pillole a base di zucchero oppure un finto vaccino.
Nel 1955 il medico statunitense Henry Beecher dedicò vari studi ai Placebo tossici elencando quindi gli effetti indesiderati indicati di frequente dalle persone che avevano assunto un placebo, tra questi mal di testa, nausea e secchezza delle fauci. All’inizio degli anni Sessanta, il ricercatore statunitense Walter Kennedy utilizza per la prima volta la parola nocebo, intendendo con essa la risposta soggettiva di un individuo, quindi come qualità del paziente e non della sostanza che ha assunto.
Nonostante le varie precisazioni emerse nel corso dei decenni, tuttavia ad oggi conoscere i confini e le caratteristiche dell’effetto nocebo non è affatto semplice. Non si possono a priori individuare i soggetti predisposti, tuttavia si è riconstrato che fornire informazioni ai partecipanti alle sperimentazioni sugli effetti avversi del farmaco somministrato può provocare una maggiore incidenza del fenomeno. Non si può comunque ridurre l’effetto nocebo fornendo informazioni minori perché eticamente discutibile dato che la persona si sta sottoponendo ad una sperimentazione occorre procedere solo dopo aver prestato il proprio consenso informato.
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